La beffa del grano

La Beffa  del Grano



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Diciamo subito :
 ll periodo in cui fu usato lo stratagemma della beffa del grano è il Medio Evo, esattamente quando Napoli era un Ducato Autonomo.

 
Mappa del Ducato di Napoli nel territorio campano



Siamo all’incirca nel 9^ secolo dopo Cristo, tra gli anni 834 e 840, la città di Napoli era retta dal Duca Andrea II, suocero del Duca Bono, che fu Duca dal 832 al 834, che si era a sua volta impossessato del Ducato napoletano con un colpo di mano, facendo uccidere il legittimo Duca, Stefano II in una trappola mortale con un patto scellerato con il vicino nemico longobardo, che regnava a Benevento, il principe Sicone.

Il famoso Principe Sicone del Principato Longobardo di Benevento, passato alla storia come un maniaco collezionista di reliquie di santi, tanto che trafugò tra le tante, perfino le spoglie mutili di san Gennaro, e da Napoli  le portò come trofeo nella sua Benevento durante un assedio alla città partenopea  senza  mai conquistarla.

Alla morte di Sicone nel Principato di Benevento succede suo figlio, Sicardo, che si propone  di seguire le velleità paterne, tra cui quella di assoggettare Napoli e ridurla  come territorio al servizio del Principato. Immantinente assedia la capitale del ducato  Autonomo di Napoli  attraversando ed occupando con il suo poderoso esercito parte del territorio fuori dalle mura della città.

Non riuscendo, poi, mai a farla capitolare.

Sicardo, esasperato  dalla resistenza  dei Napoletani  pensava che  la città ducale avesse fatto incetta di  vettovaglie e, ma non sapendo la reale consistenza, per cui non si era sicuri se l’assedio potesse portare alla conquista  del Ducato autonomo o durare mesi, forse perfino anni  tali da sfiancare le forze assedianti.

Monete al tempo di Sicardo Beneventano ( il solido) d'oro)



Riunito il consiglio dei capi assedianti ed sentito il loro parere, Sicardo stabilì di chiedere una tregua per permettere ad un suo ambasciatore di entrare in città con l’intento di trattare o meglio far finta  di trattare di togliere l’assedio a certe condizioni, poi una volta dentro le mura, si doveva controllare, verificare, spiare e cercare di capire come fosse la reale situazione delle scorte, se stavano per finire o erano tali da sopportare ancora per molto l’assedio. 

 Il Duca napoletano, Andrea II, si dichiarò disponibile a trattare con un ambasciatore avente pieni poteri per un duraturo accordo onorevole.

Sicardo nominò come ambasciatore il nobile e fido , Roffredo, che si presentò sotto le mura della città con una scorta di cavalieri.

 Prima di farli entrare, le guardie ducali fecero loro lasciare le armi fuori la porta d’accesso della città con la scusante di non spaventare la gente del popolo. L’invito fu accettato e da loro stesso giustificato che era giusto, anche perché erano lì per trattare la pace.

Giunti dinanzi al Duca Andrea II, Roffredo,  voleva subito dettare le condizioni, le garanzie per arrivare alla pace, che avrebbe soddisfatto sia gli assedianti, che gli assediati e poi sentenziò sia noi, che voi, pensiamoci  per qualche giorno, mentre io resterò nella vostra città  per conoscerla meglio . A queste parole, il Duca, informato delle vere intenzioni dell’inviato beneventano, rispose: onore e piacere e subito impartì ordini  ai suoi che il nobile Roffredo  era suo ospite e che sia portato a visitare la città, dove desiderava andare, ma solo da domani.

Il nobile ambasciatore beneventano riprese a dire: perché da domani? Gli fu risposto, da parte del Duca,: siete mio ospite ed in modo suadente gli sussurrò: ora vi ristorerete e poi vi riposerete.



Nel ritirarsi dallo schietto incontro con il Duca Andrea, Roffredo lungo il porticato del palazzo del Pretorio, dove risiedeva tutta la Corte ducale, trovò una bella tavola imbandita  e sdraiato, poi, su un comodo giaciglio, gli fu servito un lauto pranzo, di polli e pesci arrostiti , infusi in una forte salsa di aglio e aceto, decorati  con salvia, prezzemolo e timo e spruzzati di abbondante pepe.  Ogni boccone fu seguito da sorsi di vino d’uva, bevuti da un capiente calice, che appena svuotato, puntualmente  veniva riempito poiché serviva a spegnere l’arsura, derivata da cibo salato e pepato.

Il nobile Roffredo , dopo le abbondanti libagioni, fu accompagnato in una  stanza areata, dove sprofondò  in un letto di piume e s’addormentò come un bambino.

 Dormì tanto che non s’accorse che fuori dal Palazzo, ci fu un viavai di gente che correva e si dava da fare con carri e buoi per tutta la città.  



Svegliatosi l’indomani, già con il mattino iniziato, Roffredo con la sua scorta disarmata e con la guida messa a sua disposizione dal Duca  di Napoli, iniziò  a girovagare  per la città , osservando case, gli orticelli ed i giardini ad essi annessi, strade con un selciato ben compatto, botteghe, dove ferveva il lavoro dei tessitori, degli armieri, dei conciatori.

La sua attenzione fu attratta, però, da una serie di montagnole, che incontrava durante la sua attenta passeggiata e rivolto alla sua guida napoletana,  domandò stupito il perché di tali accumuli di grano all’aperto per strada e nelle piazze. Gli fu risposto : non sappiamo dove riporlo, poiché i granai sono strapieni, data l’abbondanza dei raccolti. Resosi conto dell’abbondanza delle risorse degli assedianti, Roffredo per portarsi velocemente dal suo Principe, si accomiatò senza profferire alcuna parola, lasciò  Napoli e fece intendere che la pace sicuramente si sarebbe conclusa.

Nella stessa serata rientrò a Benevento dal suo principe  Sicardo, e gli riferì che era meglio togliere l’assedio e venire a patti , poiché sarebbe stata solo una pazzia continuare tale scontro con il Ducato partenopeo, dato che le scorte di grano e l’insieme delle attività  da lui osservate, avrebbero permesso  una resistenza per ben oltre un anno.

La pace fu dunque firmata e l’assedio fu tolto mentre il duca Andrea, non fece passare molto tempo a far recuperare e rimuovere il grano, sparso  sui cumuli di sabbia delle montagnole apparse ai Beneventani beffati, poiché non si doveva sprecarlo, dato che ne avevano solo una modesta riserva. Recuperato il grano, con gli  stessi carri  trainati dai buoi furono infine caricati con la sabbia che era stata prelevate notte tempo, quando il buon ed ingenuo Roffredo dormiva placidamente nel suo letto di piume nel palazzo Ducale e fu riposta sulla medesima spiaggia.   

Un po' di furbizia a volte può più e meglio che con l'agire con armi o con il danaro.


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