Il 28 marzo del 1943 cosa accadde a Napoli,

Lo sfregio permanente del Maschio Angioino


 
Il Maschio Angioino deturpato





Esistono varie storie che si sono raccontate quando si ammira lo squarcio sulla facciata di Piazza Municipio del Maschio Angioino di Napoli.
 Si descrive dettagliatamente di una cannonata inflitta si pensa intorno al 1345 dall'assalto dell’esercito di Luigi I di Ungheria per impossessarsi del regno di Napoli.
Si è perfino arrivati ad affermare che lo sfregio al castello angioino sia stata opera di Carlo VIII di Francia durante il saccheggio della città del 1494.
La verità dello squarcio sulla facciata del Maschio Angioino, (Castello voluto dal Re, Carlo I D'Angiò, poi divenuta sede dei vari regni, che si sono succeduti nel tempo, come quello Aragonese ed infine quello dei Borboni fino al 1860), risale niente di meno che durante l'ultimo periodo bellico (la II^ guerra mondiale.
Non fu una cannonata, quindi, né un assalto impetuoso del popolo napoletano, rivoltosi contro qualche dispotico regnante durante l'epopea vicereale spagnola ma quella “ferita”, ancora tuttora visibile sulla facciata del lato est del famoso castello, (noto anche come, Castel Nuovo, che si erge sulla spianata dell'attuale Piazza del Municipio), fu prodotta da schegge di lamiere e pezzi infuocati procurate da una terribile esplosione  di una nave, che, in quel periodo, ormeggiata nel porto di Napoli, adibita al trasporto di rifornimenti bellici in procinto di ripartire, dopo essere stata riparata dopo aver subito un attacco aereo in Tunisia.

Era il 28 marzo del 1943, è una di quelle tragedie che è ben ricordata dai superstiti di Napoli, quale una delle pagine più dolorose della storia della nostra città. Viene citata come il  giorno dell’esplosione della famosa motonave da guerra, Caterina Costa, ormeggiata da qualche giorno nel porto, carica di materiale bellico destinato alle truppe italiane sul fronte africano







 Non e mai stato chiarito chi procurò lo scoppio della grande motonave da guerra, in un primo momento si pensò nelle prime ore del pomeriggio  ad un incendio, forse casuale, forse doloso.

danni porto napoli
 Le freccie indicano la posizione 
dove si trovava  ormeggiata la nave
" Caterina Costa " il 28 marzo !943

 La possibilità di un possibile scoppio, inizialmente fu  sottovalutato, poi la situazione  precipitò, anche perché gestita male, gravi leggerezze, ritardi nei soccorsi, e totale incapacità nel dirigere le operazioni di spegnimento o  di eventuale allontanamento  della nave dal porto.

 La nave, divenne così una santabarbara galleggiante, ancorata al porto, tra gli inutili tentativi di spegnere le fiamme, fino a quando: alle 17.39 l’incendio raggiunge la stiva numero due, quella degli esplosivi, e la "Caterina Costa" saltò in aria.

 
La Motonave " Caterina Costa"



La nave apparteneva all’armatore genovese Giacomo Costa, ma nel corso della seconda guerra mondiale , fu requisita dalla regia Marina ed adibita al trasporto di rifornimenti bellici sulla tratta per il nord-Africa, e quel tragico 28 marzo 1943, si trovava ormeggiata nel porto di Napoli, dopo essere stata riparata in seguito ad un attacco aereo in Tunisia.
 La motonave, Caterina Costa, era stata caricata con decine di carrarmati, quasi 8000 quintali di carburante e oltre 1500 tonnellate di munizioni.



La deflagrazione dello scoppio, avvenuto solo dopo che il terribile incendio risultato indomabile, raggiunse la stiva numero due, quella contenente gli esplosivi,

 L’intero molo, dove era ormeggiata la nave, sprofondò e Napoli fu come se fosse letteralmente bombardata di lamiere roventi. .

La zona del rione San’Erasmo fu quasi rasa al suolo, lamiere e pezzi infuocati raggiunsero mezza città causando incendi e distruzione; un carrarmato atterrò sul tetto di un palazzo di via Atri e neanche il Vomero e Capodimonte scamparono alla furia dell’esplosione.



Altri pezzi di nave abbatterono due fabbricati al Ponte della Maddalena, la torretta di un carrarmato si incastrò in una delle pareti del teatro San Carlo, neppure il massiccio castello de il Maschio Angioino fu risparmiato, ne è la testimonianza una delle sue facciate è ancora oggi visibile dal danno provocato dall’esplosione

 
Lo sfregio permanente del Maschio Angioino



 Furono coinvolte persino le zone cittadine del Lavinaio, piazza Garibaldi, il Borgo Loreto, la Sanità, piazza Carlo III, i Quartieri Spagnoli, fino a raggiungere le zone alte come il Vomero, la collina dei Camaldoli  che furono investiti dalla pioggia di schegge e detriti.

Gli scampati testimoniano e raccontano di aver visto, con i propri occhi, persone senza testa correre in strada, poveri sventurati sorpresi dall’esplosione e rimasti decapitati dalle lamiere, i cui corpi straziati percorsero ancora qualche metro prima di stramazzare al suolo.

Le vittime accertate furono seicento mentre i feriti se ne contarono circa un migliaio, e furono segnati  in  quella terribile giornata per tutta la vita.




Una tragedia che quel terribile 28 marzo del 1943, fermò il tempo, ne fu testimone indelebile il famoso Orologio Quattrocentesco, incastonato all’interno dell’Arco, che collega il campanile della chiesa  di Sant’Eligio, la più antica testimonianza angioina della città, con l’edificio vicino, che si può ammirare a ridosso di piazza Mercato.

Orologio Quattrocentesco, incastonato all’interno dell’Arco, che collega 
il campanile della chiesa  di Sant’Eligio





 Il quartiere Mercato, vicino al molo dell’esplosione  fu devastato dalla raffica di spezzoni incendiari e, nel momento esatto dello scoppio della nave, l’Orologio smise di funzionare. Per cinquant’anni l’Arco di Sant’Eligio, con le sue lancette ferme, ha voluto ricordare, a chiunque alzasse lo sguardo, quella ferita forse mai del tutto rimarginata. Solo nel 1993 l’Orologio, restaurato grazie all’impegno dell’associazione culturale Nea Ghenesis e della Parrocchia di Sant’Eligio Maggiore, è stato rimesso in funzione, tornando a scandire il tempo della nostra città.





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