Processo a piazza del plebis/ 3^ puntata
Terza Puntata
Ancora dibattimento processuale
(
Dopo l’edotta arringa di Antonio Gramsci, mi fu consegnato una nota dal Giudice a latere Paolo Emilio Imbriani, in cui mi si informava che tra gli spalti c’era una rappresentanza della città di Genova, (che trovandosi per motivi sportivi in città per festeggiare il gemellaggio per il ritorno nella massima divisione delle competizioni agonistiche del giuoco del calcio), desiderava voler testimoniare contro l’odiato re Vittorio Emanuele II, poiché anch’essi si stavano prodigando per far rimuovere un’altra sua statua nella loro città, in quanto per i genovesi il suo ricordo, rappresentato anche se da un monumento, è un'offesa a quanti si ribellarono alla cosiddetta causa dell’unità e furono uccisi e trucidati nel 8 aprile del 1849 e di essi non si ha nessun ricordo, neanche sui libri di storia.
Questi genovesi si presentarono come militanti dell’ARGE Associazione Repubblica di Genova) e testimoniarono che si stavano battendo,
per dare lo sfratto dal centro della Piazza Corvetto di Genova alla statua equestre del Primo Re d’Italia, con una richiesta avanzata alla Regione , alla Provincia ed al Comune firmata da migliaia e migliaia di cittadini liguri. Tale richiesta era mossa dal fatto che Genova non può ricordarsi ogni giorno di Vittorio Emanuele II, la cui arroganza fu capace di uccidere con una dura repressione i patrioti liguri,
Statua di Vittorio Emanuele II a Genova in piazza Corvetto |
per dare lo sfratto dal centro della Piazza Corvetto di Genova alla statua equestre del Primo Re d’Italia, con una richiesta avanzata alla Regione , alla Provincia ed al Comune firmata da migliaia e migliaia di cittadini liguri. Tale richiesta era mossa dal fatto che Genova non può ricordarsi ogni giorno di Vittorio Emanuele II, la cui arroganza fu capace di uccidere con una dura repressione i patrioti liguri,
Targa
commemorativa in ricordo dei cittadini crudelmente uccisi a Gevova 8 aprile 1849 Per volontà di Vittorio Emabuele II di savoia |
che si batterono a centinaia per la loro autonomia e non desideravano affatto far parte del regno piemontese, tanto che lo stesso definì (I genovesi?
Una razza vile di canaglie), mentre vorrebbe ricordare quelle povere vittime massacrate l’8 aprile del 1849 con una lapide con tutti i nomi e cognomi per simboleggiare attraverso i secoli, che la forza, l’autorità non unisce, affratella, invece, il dialogo, la cooperazione e lo spirito di non sopraffazione di un popolo o di una razza sull’altra.
Terminata la testimonianza della delegazione dei Genoani presenti nella piazza, tra la folla che assisteva a quell’improvvisato processo si commentò con un’indignata convinzione con frasi di questo genere a viva voce: “ Ma chistu Savoia ere veramente ‘nu piezze ‘e fetente, ( Vittorio Emanuele II) comm’ aimme fatte a suppurtà’ a ‘sta specie ‘e rignanti e tutte ‘a razzimme llora! So’ state mariule, hanne fatte accidere ‘a tante giuvene nuoste pe’ ghì a fa guerre, ca ‘nce ‘nteressavene! S’è sapute ca vulessene turnà ‘n’ata vota a Napule, da do se ne partettene doppe ‘o Referendum do 2 giugno do 1946! Ma chiste so’ pazze! Nun ‘e vulimme manche comma turiste!” Qualcuno si permise di contrastare che i Savoia, che sarebbero venuti a Napoli, sono il figlio (Vittorio Emanuele IV ) e il nipote (Emanuele Filiberto) dell’ultimo Re Umberto II (il cosiddetto re di maggio) e che nulla avevano a che fare con I Savoia, che avevano effettivamente regnato per circa 100 anni dal 1860 al 1946). Ottenuto il silenzio della folla mi permisi di leggere alcune considerazioni di un eminente giornalista napoletano, che pur accettando malvolentieri il rientro dal forzato esilio, voluto dalla maggioranza di centro destra del signor Berlusconi e dall’avallo della legge promulgata dal Presidente della Repubblica Ciampi, non si può assolutamente dimenticare che, gli antenati di questi discendenti Savoia, furono degli invasori, dei saccheggiatori, dei massacratori e degli annientatori della nostra memoria storica e delle nostre radici, verità che sono ancora oggi opportunamente nascoste, per ciò non devono essere ricevuti con onori e cerimonie riservate al loro vecchio lignaggio, ma essere accolti soltanto come privati cittadini della Repubblica Italiana.
Prima di far proseguire il dibattimento con le deposizioni d'altri testimoni a favore e contro, mi permisi di esprimere un mio pensiero sull’opportunità dei vari pregi del popolo di Napoli, a proposito dell’Ospitalità, “ Noi napoletani siamo persone molto accoglienti. Abbiamo ereditato dai Greci il senso della sacralità dell’ospite. Esprimiamo la nostra cordialità sia verso i potenti, che verso le persone comuni. Aiutiamo tutti e sentiamo il forestiero come una persona di famiglia. Lo rispettiamo senza, però, sottometterci.”
Le testimonianze d’ascoltare erano tante, allora, decidemmo d’accordo col Giudice a latere Paolo Emilio Imbriani di aggiornare la seduta all’indomani mattina verso le dieci tempo permettendo invitando tutti i presenti e così si procedette.
L’indomani era una meravigliosa giornata di primavera con un venticello marino, che attutiva i caldi raggi del sole, per cui assistere al prosieguo del processo risultava cosa abbastanza piacevole ed interessante.
Vollero testimoniare per conto dell’accusa alcuni eminenti studiosi e storici come L’onorevole Francesco Saverio Nitti,
On. Francesco Saverio Nitti |
che pur non risultante un filo Borbone, iniziò col dire: “prendo la parola per dimostrare che spesso dalle apparenze e dalle errate convinzioni, bisogna stare molto attenti per poi emettere giudizi affrettati ed ingiusti. Gli avvenimenti storici vanno letti dall’angolazione prettamente economica, che è sempre poi quella, che muove il mondo. E come sempre ci troviamo al solito interrogativo “Cui Prodest”.
Non si può alcunché discutere che il Reame dei Borboni, nel 1860 ero lo stato più ricco di tutta la penisola, tenuto conto della quantità di circolante e del rapporto di conversione
Lira – Oro di 1 : 1 e non era secondo a nessuno in Italia per innovazioni industriali, commerciali, medico sociali, agricolo-manifatturiere. Insomma era uno stato all’avanguardia in Italia e in Europa. Non sto inventando nulla, ci sono documenti e scritti, che dicono ciò che sto affermando, le riserve del Banco di Napoli e quelle del Banco di Sicilia erano, di gran lunga, le più cospicue di tutti gli altri stati d’Italia messi insieme.
Il potere d’acquisto del Ducato (Moneta d’oro circolante a quel tempo nel regno delle Due Sicilie) valeva 4 volte e ½ la Lira (Moneta d’oro circolante nel regno di Sardegna).
La tassazione dei Borboni era permanente ricondotta alla fondiaria, a quella del registro, a quella sul lotto, alla posta e naturalmente quella delle tasse indirette che comprendevano i tabacchi, le carte da gioco, la dogana, la polvere da sparo per la caccia ed il sale.
La tassazione dei Savoia era insopportabile anzi se ne inventavano una al giorno, come quella sulla manomorta, sulla successione, sulla donazione, sui mutui, sulle adozioni, sull’emancipazioni, nonché quella sulle spese per la salute (ora si sarebbe chiamata tickets su farmaci, sulle analisi). Quindi ad onor del vero a conti fatti I sudditi del reame borbonico pagavano ogni anno a Francischiello 14 lire pro Capite, mentre i sudditi dei Savoia (piemontesi, liguri, sardi) almeno il doppio.
Tutto questo che sto dicendo è stato per un secolo e più tenuto nascosto e si è mistificato la realtà, perciò la verità, che coloro che credettero in buona fede, come il sottoscritto, alla favola dell’unità, fu scientemente coartata con protervia e acrimonia da quelli che machiavellicamente se ne servirono per gli interessi propri, occultando e facendo scomparire documenti contabili.”
On save’, avite viste sto ‘n’ata vota cca, stammatine! So ccose veramente ‘mpurtante, ca s’hanne sapè’! agge fatte venì’ pure a ‘sta amica mia, ca è ‘ngnurante, ‘a puverelle nun è jute maje ‘a scola, ma è assale ‘nteliggente e tene tanta curiosità ‘e conoscere ‘a storia e ‘a verità.” Il buon don Saverio sorridendo rispose: Avite fatte buone, cheste so cose ca s’hanne sapè’ e s’anne dicere pure all’ati ggente, nun s’hanne tenè’ nascoste!|
Mo stammece zitte! O si no, nun se capisce niente!.”
Anche se non fu un grande oratore, comunque fu un gran principe del foro, e per la sua onestà, umiltà e preparazione giuridica, fu scelto come primo presidente della nascente Repubblica Italiana, prima provvisorio durante i lavori dell'Assemblea Costituente e poi definitivo dopo l’approvazione della Costituzione repubblicana dal 1 gennaio 1948, italiana, fu invitato a rendere comprensibile il suo autorevole pensiero.
Penso che si era capito, si sta parlando
Il Primo Presidente della Repubblica Avv. Prof:. Enrico De Nicola |
dell’Avv. Professore Enrico De Nicola, che subito esordì affermando :
“ Ho vissuto in prima persona il trapasso dalla Monarchia alla Repubblica e mi dovete credere ho dovuto sudare sette camice per convincere il vecchio re Vittorio Emanuele III, a lasciare il trono dopo l’impatto formale della sconfitta a seguito dello sbarco degli alleati in Sicilia, convincendolo a lasciare la corona senza abdicazione e nello stesso tempo agevolare il passaggio del potere dalle sue mani mediante la creazione dell’istituzione della figura del Luogotenente, che sarebbe stato affidato al figlio Umberto II di Savoia.” “Dopo il Referendum popolare e la proclamazione della Repubblica, fui eletto Presidente, avrei potuto farmi promotore di far procedere a cancellare ogni traccia del passato sistema monarchico, come si era soliti fare in queste occasioni, abbattendo statue, monumenti, cambiando nomi a piazze, a strade, ad istituzioni, che portavano nomi dei Savoia; non lo proposi, perché il passato è storia e come tale va studiata, analizzata, criticata, ma non si può cancellare, rimane impressa nella memoria delle genti, è la cultura di un popolo. Lo fecero i primi regnanti sabaudi è fu un grave errore, perciò non sono sicuro che abbattendo nell’ottava nicchia del palazzo di questa splendida piazza la statua di Vittorio Emanuele II , rendiamo un buon servizio alla storia di questa città e lasciamo tutto come sta e pensiamo solo a non ripetere gli stessi errori e perdoniamoli, ormai sono morti, quelli che ci hanno fatto del male.”
“Ha parlate, parlate, ma c’accucchiate, se puteve risparmià, nun m’ha convinte pe’ niente e allora, pecché se sta facenne ‘stu pruciesse! Eppure ere ‘nu personaggio importante ‘stu De Nicola, agge sapute ca rifiutaje ‘o stipendie da capo do’ stato, a chell’epoca erene 12 milione ‘e lire all'anne ('n'operaie pigliave 10mila lire 'o mese) ere modesto, umile e nun apprufittaje d’ ‘a carica pe’ se accuncià’ ‘e fatte suoje, comma fanne mo’!” Donna Concettà rivolta poi a Don Saverio ‘o pensiunate. continuò esclamando tutta scocciata “ Chisti Savoia ‘nce hanne fatte sule guaje, senza penzà po’ ‘a fatica,. ca nun nce ne stà’, manche pe’ chille c’hanne studiate! ‘Nu giovene, si vo' magnà o si vo’ criarse ‘na famiglia, comma fa ad accaterese ‘e mobbele? Comme fa a fittarese ‘nu quartine? se ne addà ‘ì’ sule fore!”
Don Saverie le rispose tutto agitate: “ e hanne emigrà’, però s’hanne mettere l’anema ‘npace, ca si vonne turnà a Napule, ‘nce tornene viecchie e rimbambite, pe’ venì’ sule a murì!. Comme facettere ‘e nonne nuoste doppe l’unità d’Italia, ca jettene in America, in Australia, in Argentina, in Brasile, e 'a' maggioranze ‘e llore non è cchiù turnate. Doppe l’urdeme guerra speravame ca l’emigrazione fosse fernute, invece, fecettere ‘a stessa ccosa, facettere ‘o stesse ‘e valigge ‘e cartone e se ne i
jettere in Germanie, in Belgie, in Francia, in Svizzera, in Inghilterra, insomma aro ‘nce steve ‘nu poche ‘e fatiche, pe’ nun murì’ ‘e famme, là si ieve. Onna Cunce’ ! pure mo’! è ‘a stessa cosa! “ “ ‘Nce contene chiacchere una continuazione, accuminciajene ‘e rignante piemuntese, po’ so venute ‘e guvernante da ripubbliche, Democristiane, Libberale, Sucialisti, pe’ fine ‘e Cumuniste, ‘a storia nun è cagnate, appene s’assettene ‘ncoppa a chelli seggie a cumannà', se scordene do passate e de’ prubbleme da' povera ggenta e penzene sule ‘e fatte llore!”
Ascoltando questi insigni persononaggi, che avevano preso parte al dibattimento, mi convincevo che siamo stati un popolo, che ha subito più di tutti, (senza andare troppo in là con le generazioni) spesso invasioni militari straniere, alle quali anche se ci si opponeva in modo valoroso, ugualmente si era costretto a subire decine di migliaia di morti, mortificazioni e sopprusi di ogni genere. In molti casi per sfuggire all’angherie dei sopraffattori e per non sottomettersi alle loro imposizioni, in moltissimi preferirono emigrare per terre assai lontane.
Quanto prima ci sarà un'altra puntata prima del verdetto
Il tuo racconto è stupendo, anche se mi mette una tristezza, io poi sono pure borbonico. Attendo con ansia la prossima puntata, ciao.
RispondiEliminaBuon fine settimana.
RispondiEliminaTi consiglierei una forma più punteggiata e scorrevole, per rendere più agile la narrazione.
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