Storia di Chiaiano - 18 punt/come si vestiva

Capitolo ventitreesimo

CHIAIANO
Come si vestiva e si mangiava negli anni dal 1961 al 1970


Dopo il periodo dell’arrangiamento che va dal 1950 a tutto il 1960, dove si vestiva alla meno peggio, come quello di utilizzare vestiti vecchi, che erano rivoltati e ricuciti con un diverso taglio da apparire come nuovi di zecca per l'abilità di sartine e sarti provetti.
Si utilizzavano, in mancanza di tessuti nuovi, vestiti militari smessi, come cappotti e divise usate dei soldati, nonché tendaggi militari, tute mimetiche, che bravissimi sarti riuscivano a confezionare pantaloni e vestitini per giovanotti con tali speciali tessuti, mentre maestre cucitrici, infine recuperando la stoffa dei paracadute, erano capaci di confezionare camicette, come fossero di seta, ed abiti per cerimonie religiose, (gli abitini bianchi per la prima comunione), vestitini per signorinelle.

Vistito di sposa confezionato con stoffa di paracadute







S'inventarono giacche a doppio petto per camuffare qualche vecchia magagna sottostante, che scompariva a seconda se la bottonatura era a destra od a sinistra, i pantaloni poi, erano con le pieghe ribaltate, in modo che una volta consumate si potevano rivoltare la piegatura, facendoli sembrare come nuovi.
Opera meritoria fu in quel periodo un antico mestiere napoletano esercitato a nero e che oggi è completamente desueto, tanto che se ne’è persa l’esistenza, e la conoscenza “‘o Rammariello
‘O Rammariello fu il primo ideatore delle cosiddette vendite rateali a domicilio,
La popolarità e precipuità della vendita, del “Rammariello”, era data dal fatto che, dopo la consegna della merce richiesta, riscuoteva al domicilio della clientela il pagamento della stessa passandovi una volta il mese; la riscossione avveniva con comode rate, piccoli esborsi, che anche i meno abbienti potevano permetterseli, ottenendo così buona merce con piccolo sforzo economico.
Il Rammariello, l’etimologia della parola deriva dal diminutivo di Rammaro, una volta, venditore di stoviglie ed utensili da cucina, tutti generalmente di rame, poi soppiantate con l’avvento dell’alluminio, e le sue vendite si tramutarono in altra merce, che diventò biancheria personale (camicie da notte, sottovesti, reggiseno, mutande) e biancheria da casa (coperte, lenzuola, asciugamani etc.)
Che dire delle scarpe, che si utilizzavano! Erano di un solo tipo per gli uomini con il cosiddetto mascariello, dove la tomaia terminava con una mascherina sovrapposta attaccata al resto della scarpa con una sottilissima cucitura di pelle, mentre sia al tacco, sia alle suole erano spesso apposte le famose “Centrelle” (bullette inchiodate sotto la suola o le “Puntette”, (mezze lunette sottili di ferro o di stagno per evitare un consumo precoce della suola).

'e puntette (salvapunte)


'e centrelle (slvatacchi)


Erano conosciute le puntette, come le salvapunte (in italiano) a forma triangolare metalliche, e si inchiodavano sulle punte della scarpa "mentre ’e centrelle" , di forma di mezze lune anch'esse metalliche erano inchiodate ai tacchi ,dette appunto salvatacchi, che evitavano il rapido consumo di queste due parti importanti della scarpa.


Nella metà degli anni sessanta comparvero in inverno le scarpe con la suola di crepe impermeabili, idrorepellenti per non far bagnare i piedi. (frutto di una prima ricerca di nuovi materiali per risolvere il problema della mancanza di materia prima, il cuoio animale)

Classiche scarpe con suola di gomma creps


In quell'epoca, infine, i ragazzi fino ai dodici e tredici anni erano castigati ad indossare pantaloncini corti, tenuti su da bretelle fisse cucite in vita, che li sorreggeva (‘e tirante), che specie in inverno lasciava le gambe infreddolirsi e soggette alle "serchie", (le ragadi) ed ad arrossamenti dolorosi, che si formavano all’interno delle cosce a contatto con i bordi degli stessi pantaloncini
Questo strazio per i meno poveri terminò con l’utilizzo dei pantaloni a zuavo, sorte di braca, che copriva la gamba fino allo stinco, terminante con un elastico su calzettoni con disegni romboidali, scopo questo, non per difendere le gambine dal freddo, ma perché nell’età dello sviluppo i coscioni dei giovincelli si coprivano di peli, ed erano sgraditi alla vista.
Ci si arrangiava come si poteva, avendo perso la guerra e per stare al passo del mondo civile ci accontentavamo di ciò che si trovava e perfino, le stoviglie (forchette, cucchiai e coltelli) ed i piatti erano di provenienza militare con il marchio U.S.A. 
 
posate in uso dopo la 2^guerra mondiale


 come pure le ciotole per il latte erano d'alluminio o di ferro (‘o sicchietielle), e poi la famigerata gavetta, e chi non li aveva conservati, o li aveva distrutti con l’uso, perché facevano parte della dote nuziale, i piatti , che si iniziarono ad utilizzare quotidianamente, erano  diventati di una lega di ferro ed alluminio, indistruttibili.
Tutto questo avveniva, perché fin quando si potevano utilizzare piatti e tegamini di creta o di coccio, e che necessitavano di una rudimentale riparazione, che effettuava   i famosi  maestri artigiani  “ Accongiapiatte e gli Accongiatiane”, allorché quelle stoviglie erano spesso scheggiati dall’usura o peggio si rompevavano.
Il cibo non era abbondante, ci si accontentava, si faceva forzatamente la dieta a base di verdure e prodotti della campagna, fave, finocchi, patate e pane di grano non burattato e molta frutta, quando si stava male, un po’ di pollo era una festa, la carne mancava, a parlarne costava troppo, era solo per i cosiddetti signori, la maggior parte della popolazione la consumava una volta a settimana spolpando specie quella, che rimaneva attaccata alle ossa, che era utilizzata per far il brodo di carne, un’acquosa brodaglia, dove ci si bagnava fette di pane raffermo. .
La prima colazione senza alcuna norma igienica si faceva con il latte munto direttamente dalle mammelle delle vacche e consumato, quando c’erano, con tozzole di pane cafone (Pane di grano non burattato o di granoturco, cotto nei forni a legna) rimasto il giorno primo. Il piatto più gustoso e che ti saziava facilmente reperibile, e che ci permetteva di sfamarci a pranzo , la sera e di mattino era (‘a Zuppa ‘e Fasule) la zuppa di fagioli, che si metteva a cuocere presto dalla mattina, giacché occorreva una cottura lenta e di parecchie ore.
Le nostre mamme, data la penuria delle varie scelte di derrate, c'invitavano a ringraziare il Signor Iddio, proponendoci che quel desinare era in ogni modo grazia di Dio, facendoci rivolgere il pensiero a quanti soffrivano la fame ed erano derelitti.





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Continuerà con nuovi capitoli appena sarà possibile
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