Il processo di piazza del plebiscito 2^ puntata
Seconda Puntata
Il Dibattimento fuori Palazzo Reale nella piazza
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| Piazza del Plebiscito a Napoli fuori Palazzo Reale | 
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| Palazzo reale , di fronte Piazza del Plebiscito | 
Uscendo dall’androne verso la grandiosa piazza del Plebiscito, quasi come mi era capitato spesso nella mia vita reale, quella di partecipare ed assistere a grandi manifestazioni pubbliche con grandissimi oratori in occasione d'elezioni politiche e di scioperi generali per rivendicazioni sociali ed economiche, quasi come per incanto, intravidi apparire verso l’emiciclo del colonnato all’altezza delle statue a cavallo di Carlo III e Ferdinando IV, un grande palco montato, come una sorta di Aula di tribunale all’aperto, con banconi per i giudici, tavole e sedie a destra ed a manca per l’accusa e per la difesa e sotto il palco in mezzo a delle transenne, la giuria, che sedeva su tre fila di scanni, circa 50 persone mischiate tra donne ed uomini, che rappresentavano il popolo in ogni sua scala sociale senza alcuna distinzione, erano presenti Benestanti, Indigenti, Imprenditori, Dirigenti, Operai, Impiegati, Professori, Intellettuali, Professionisti, ex Senatori e Deputati, Ex Ministri, Poeti, Musicisti, insomma c’erano tutte le categorie sociali del vero popolo napoletano, ai lati su gradinate di legno a forma di anfiteatro, sedevano tanta gente incuriosita per assistere ad un inusitato spettacolo.
Sul palco in piedi a presiedere momentaneamente l'improvvisato tribunale,
Don Giuseppe Pignone del Carretto
principe d'Alessandria, marchese di Oriolo
(fu sindaco di Napoli dal 1857 al 1860)
c’era l’ultimo Sindaco del Regno di Napoli, (Don Giuseppe Pignone del Carretto, il principe d'Alessandria, nonchè marchese di Oriolo che,
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| Don Liborio Romano Ultimo Ministro degli Interni Borbonico  | 
insieme
 Don Liborio Romano, l’ultimo Ministro degli interni all’epoca di Re 
Francischiello), andò a consegnare le chiavi della città al generale 
Garibaldi a Salerno, dopo la fuga del Re Borbone il 7 settembre del 
1860), che mi chiamò e mi invitò ad insediarmi come Giudice-Moderatore 
di quel fantastico processo.
 
                                              
Nelle file della giuria notai gli ex Senatori e deputati d'appartenenza Savoiarda,
Nelle file della giuria notai gli ex Senatori e deputati d'appartenenza Savoiarda,
| Senatore Filosofo Benedetto Croce | 
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| Senatore De Sactis francesco | 
Ministro della Pubblica Istruzione del primo governo del Regno d?italia  | 
| Ministro della pubbklica istruzione del  1° regno d'Italia Senatore Ruggero Bonghi  | 
come
 il filosofo Benedetto Croce, che era stato uno storico di elevata 
cultura, c’erano i Ministri della pubblica istruzione dei primi governi 
del regno d’Italia, come Francesco de Sanctis, Ruggero Borghi, 
quest’ultimo era stato un ottimo filologo e professore di storia antica e moderna in varie Università Italiane e vi erano tanti altri illustri napoletani, i giornalisti scrittori:
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| Eduardo Scarfoglio | 
| Matilde Serao | 
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| Salvatore Di Giacomo | 
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| Ferdinando Russo | 
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Eduardo
 Scarfoglio, Matilde Serao, i poeti Salvatore di Giacomo, Ferdinando 
Russo, Raffaele Viviani e tanti musicisti illustri, che avevano fatto 
conoscere Napoli con le loro melodie e canzoni in tutto il mondo. C’era 
la crema, il fior fiore dei migliori napoletani, mischiati al popolino 
più vero, quello dei vicoli, dei rioni, On Saverio ‘o putecare, ‘On 
Rafele ‘o cusetore, Onna Rosa ‘a baccalajola, Onna Cuncetta ‘a sanzara: 
Un po’ preso alla sprovvista, un po’ timoroso di presiedere un cotanto 
dibattimento, mi feci prendere dal panico, però, lusingato per essere 
stato scelto a svolgere tale incarico, (vuoi per le mie conoscenze 
storiche della città partenopea, vuoi per l'intraprendenza personale a 
parlare in ogni modo e dovunque della storia di Napoli, quando capitava 
l’occasione o quando qualcuno mi chiedesse di farlo. Accettai e così.
Dopo aver fatto zittire il pubblico, che, (man mano che passava il tempo), andava riempiendo gli spalti e l’intera piazza, perchè curioso di conoscere come sarebbe andata a finire la vicenda della rimozione della Statua), procedetti a far iniziare il dibattimento, facendo leggere, in primo luogo, il motivo di quella solenne assise al Giudice a latere, il dott. Avv. Paolo Emilio Imbriani.
                                          
Dopo aver fatto zittire il pubblico, che, (man mano che passava il tempo), andava riempiendo gli spalti e l’intera piazza, perchè curioso di conoscere come sarebbe andata a finire la vicenda della rimozione della Statua), procedetti a far iniziare il dibattimento, facendo leggere, in primo luogo, il motivo di quella solenne assise al Giudice a latere, il dott. Avv. Paolo Emilio Imbriani.

Avv. Paolo Emilio Imbriani
Sindaco di Napoli e Senatore del Regno d'Italia
La
 richiesta dell’esposto, consegnatomi dalla regina Maria Sofia di 
Baviera, ultima Sovrana del Regno di Napoli, affinché si procedesse alla
 rimozione dell'Ottava Statua dal Frontale di Palazzo Reale, giacché il 
Re rappresentato, Vittorio Emanuele II, non poteva considerarsi come re 
di Napoli, mentre al suo posto era più giusto collocarvi una statua 
dell’ultimo Re di Napoli, Francesco II di Borbone.
L’esposto fu commentato rumorosamente, con frasi di questo genere:
” Gesù! Maje nisciune ‘nce aveve fatte case! Teninne tante prubbleme, guarde ‘nu poche ‘nce avimme ‘nteressà ‘e luvà ‘na statua e metterne ‘n’ata!”
Qualcuno gridando affermava
“ E’ proprie ‘na strunzata, ma stammece zitte e vedimme comme va a fernì ?”
A destra dei banconi della Presidenza c’era il collegio della Difesa, formato da avvocati di chiara fama e soprattutto simpatizzanti del Regno unitario d’Italia dei monarchi Savoia. Avevano rivestito cariche istituzionali, come Andrea Colonna e suo figlio Giuseppe, che grazie alla loro fede monarchica e all’amicizia del conte Camillo Benso di Cavour, furono i primi due sindaci della città di Napoli, dal Settembre del 1860 al 7/5/1864, il Conte Guglielmo Capitelli, (che fu Sindaco di Napoli dal 17/4/1868 al 24/9/1870), il Duca di Sandonato,Gennaro Sambiase Sanseverino,(Sindaco da12/7/1876 - 27/4/1878),
Infine
                                                            
L’esposto fu commentato rumorosamente, con frasi di questo genere:
” Gesù! Maje nisciune ‘nce aveve fatte case! Teninne tante prubbleme, guarde ‘nu poche ‘nce avimme ‘nteressà ‘e luvà ‘na statua e metterne ‘n’ata!”
Qualcuno gridando affermava
“ E’ proprie ‘na strunzata, ma stammece zitte e vedimme comme va a fernì ?”
A destra dei banconi della Presidenza c’era il collegio della Difesa, formato da avvocati di chiara fama e soprattutto simpatizzanti del Regno unitario d’Italia dei monarchi Savoia. Avevano rivestito cariche istituzionali, come Andrea Colonna e suo figlio Giuseppe, che grazie alla loro fede monarchica e all’amicizia del conte Camillo Benso di Cavour, furono i primi due sindaci della città di Napoli, dal Settembre del 1860 al 7/5/1864, il Conte Guglielmo Capitelli, (che fu Sindaco di Napoli dal 17/4/1868 al 24/9/1870), il Duca di Sandonato,Gennaro Sambiase Sanseverino,(Sindaco da12/7/1876 - 27/4/1878),
Infine
| Avv. comm. Nicola Amore (il Sindaco  di Napoli del Risanamento) | 
l’Avv.
 Comm. Nicola Amore, (che fu il Sindaco del Risanamento nel periodo che 
va dal 18 settembre del 1883 al 18 novembre del 1889).
Ognuno
 di essi volle prendere la parola per osannare l vari regnanti di Casa 
Savoia , iniziando col dire, se possiamo definirci, noi Napoletani, 
Fratelli d’Italia, lo dobbiamo esclusivamente al Re Savoia Vittorio 
Emanuele II, che a pieno titolo si poté fregiare della corona di Re 
d’Italia, perché con sagacia, seppe costruire l’Unità dell’intera 
Nazione, grazie anche all’abilità dei suoi Ministri, Massimo D’Azeglio e
 Camillo Benso di Cavour, quest’ultimo, poi, stratega incomparabile, 
riuscì ad ottenere l’appoggio diretto dei francesi ed indiretto 
degl’inglesi nella realizzazione dell’Impresa, avvalendosi soprattutto 
del condottiero Giuseppe Garibaldi, il generalissimo, che liberò Napoli e
 l’intero regno delle Due Sicilie dalla dominazione borbonica, che tanti
 lutti aveva procurato alle sue genti. Non si può non ricordare le 
stragi, le fucilazioni e le decapitazioni dei martiri della Repubblica 
napoletana del 1799, le repressioni dei morti del 1820 e del 1821, 
nonché le barricate e le barbarie subite dagli insorti per ottenere la 
costituzione nel Maggio 1848, divenute famose, come l’espressione “si 
nun 'a fernite, facce succedere ‘o Quarantotto”
Tutto ciò fa sì che la statua dell’ottava nicchia del frontale spetta a Vittorio Emanuele II , che a giusto titolo fu definito il Re Galantuomo ed alla sua morte “ il Padre della Patria “
| Umberto I di Savoia , Re d'Italia | 
| Margherita di Savoia, R | 
che
 insieme alla moglie (la regina Margherita per la quale la Pizzeria 
Brandi, dedicò la sua fortunata pizza tricolore, con pomodoro, 
mozzarella e basilico, da cui poi ha preso il nome “ La Pizza 
Margherita) soggiornò nella nostra città spesso, perché n’era innamorato
 e si prodigò tanto per alleviare le sofferenze della povera gente 
durante le nefaste vicende del Colera del 1874 e col suo volere si dette
 vita al cosiddetto Risanamento Napoli, che consistette nello 
smembramento della città di inutili vicoli malsani, che sfociavano in 
sozzi palazzi e casupole per depositi, utilizzate invece per dormitori 
ed abitazioni, che prive di servizi igienici, s’impregnavano di un 
fetore insopportabile. (Erano per lo più situati questi dormitori nelle 
vicinanze del porto ( i cosiddetti Fondaci in napoletano ‘e Funnache ).
Re Umberto I, amante dell’arte, abbellì la città arricchendola d'imponenti Statue di marmo e di bronzo di personaggi famosi, sia per imprese storiche o, che si erano distinti in opere pubbliche e sociali, che fece erigere su imponenti piedistalli da illustri scultori dell’epoca e collocare in ogni spazio e nelle varie piazze importanti della città.
Terminate le arringhe della difesa si udirono voci tra la folla, intanto, che gremiva la piazza con espressioni di questo genere :
“ Comma hanne parlate belle! On Save’! So tutte Avvucate, me pareve ‘e assistere a ‘nu vere pruciesse! Pecchè ’a vonne luvà ‘a statua ‘e chiste Re Vittorio Emanuele II, a me nun me pare ca ha fatte male a coccherune, vuje ca site jute a scola e cunusciute tanti ccose, spiegateme pecchè se sta a fa ‘stu pruciesse?”
Don Saverio il pensionato replicò :”Onna Cuncè! Manche je ‘nce capisce niente, ma si se sta facenne ‘stu pruciesse, cocchecosa ‘nce addà stà 'a sotta; se so' scummedate tutte ‘sta ggente ‘mpurtante, Sinneche da ajere, Avvocate ’mpurtante, gente ca sape ‘a storia veramente, no chella, ca ‘nce hanne ‘mpapucchiate a nuje, pirciò , stamme a sentì e verimme comme va a ferni!”
Onna Rosa, ‘a baccalaiola, s’introdusse nella discussione dicendo:” On Saverie parle bbuone, Isse ‘e pensiunate! Nun tene niente ‘a fa! Po’ aspetta!, ma nuje femmine tenimme ‘o che fa’, ‘nce avimme ritirà a casa, avimme priparà a cena pe’ stasera, chi ‘o sente a mariteme quante arrive e vo’ magnà’!, Le diche nun agge priparate niente, pecchè so’ state a sentì' ‘o pruciesse a piazza Plebbiscite!” Cuncettì! , me stonghe ‘nu poche e po’ me ne vache!, Comme va a fernì’ mo faje sapè tu! Statte bbona!
Intanto il dibattimento continuò, viene chiamato ad esporre il presidente del collegio dell’accusa, che era rappresentato dall’illustre avvocato,
Gaetano
 Salvemini, ex parlamentare socialista dell’inizio di fine Secolo 
Ottocento, nonché libertario e rivoluzionario repubblicano, che nel 
prendere la parola inizio a dire : “ Ci troviamo davanti ad 
un’ingiustizia storica, che da buon meridionalista, desidero, che si 
ricorra ai ripari; Primo, perché, rimuovendo la statua dell’usurpatore 
del Regno delle Due Sìcilie, Il cosiddetto Padre della Patria, Vittorio 
Emanuele II di Savoia, rendiamo giustizia ai tanti morti di guerre, che 
si sono immolati per la grandezza di Napoli e per i principi quantomeno 
onorevoli e importanti, come la Libertà, la Giustizia, l’Uguaglianza, 
che non esistevano nel quotidiano comportamento del personaggio in 
discussione, che nella sua triste esperienza di Re non seppe mai 
coniugare, perché fece continuare i privilegi della Nobiltà, della 
Chiesa, che accumularono ingenti patrimoni immobiliari ed immensi 
latifondi, a danno dei lavoratori, dei contadini e di tutti coloro, che 
si battevano per questi sacrosanti diritti.
Al
 suo posto propongo che sia collocata una statua di un vero eroe 
napoletano degli ultimi tempi, (lontano dai Borboni e dai Savoia) il 
Prof. Antonino Tarsia in Curia, che capeggiando il popolo nei tristi 
giorni delle famose,
 
   
                                                  
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|  Gennaro Capuozzo  scugnizzo soldato delle 4 giornate  | 
Quattro
 Giornate di Napoli” liberò la città dal vessatorio giogo tedesco del 
suo comandante colonnello Schol e dalle barbarie nazifasciste, che 
opprimevano la città nel fine settembre del 1943, (dal 27 al 30 
settembre del 1943) dopo che, via radio, si seppe della proclamazione 
dell’armistizio di Cassibile, firmato 8 settembre dal generale 
Castellano, per conto del governo italiano presieduto da Badoglio, e dal
 generale Bedel Smith, per conto del comandante delle truppe alleate 
Angloamericane, generale Eisenhower. Non solo seppe coordinare gli 
insorti, ma insieme al capitano Stimolo, riuscì a far liberare coloro 
che erano stati razziati e fatti prigionieri per rappresaglia, (perché 
rei non essersi presentati spontaneamente per andare a lavorare in 
Germania), ed erano tenuti nello stadio del Vomero (l’attuale stadio 
Collana) mentre appena dopo la cacciata dei Tedeschi fu chiamato a ben 
ragione stadio della Liberazione.
Un Eroe di tale grandezza venne dimenticato velocemente ed il suo nome esiste nella toponomastica cittadina, però relegato in una viuzza dietro il Castello dell’Ovo, perché non se ne poteva fare a meno.
Non finì la sua arringa che anche se non napoletano, volle prendere la parola e continuare l’accusa il noto studioso della questione Meridionale
 che
 esordì affermando che i Savoia, ed in primo luogo Vittorio Emanuele II ,
 altro che liberatore, fu un Regnante feroce, che mise a ferro e fuoco 
l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi
 i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col 
marchio di Briganti. Alla luce di tutto ciò che accadde all’indomani del
 1860, per mera colpa di questo sovrano, non si può parlare di padre 
della patria, ma piuttosto di un invasore, come non c’erano stati 
precedentemente, che annettendo, spoliando, in una parola, distruggendo 
tutto ciò che era patrimonio e ricchezza di un paese florido e gioioso 
di vivere, costrinse un popolo, che non desiderava per niente essere 
liberato, ne annesso, come poi è stato scritto, con un farsesco 
plebiscito popolare, avallato e legalizzato da scrutatori camorristi, 
come Tore ‘e Criscienzo e Totonne ‘e Porta ‘ e massa.
L’accusa di Gramsci stava facendo scivolare il dibattimento verso l’ipotesi che la dinastia dei Savoia non era stato altro, che un male inaccettabile, che aveva causato tantissimi morti prima e dopo l’annessione, nel nome di quella Unità d’Italia, e proseguito con la Prima guerra Mondiale, quando intere classi di giovani (i famosi ragazzi del 1899) prevalentemente provenienti dal Sud Italia, perirono per conquistare la Venezia Giulia ed il Trentino al grido di Avanti Savoia.
A volere tutto ciò fu il Sovrano Vittorio Emanuele III, figlio di'Umberto I, nipote di Vittorio Emanuel II, il cosiddetto Re soldato, che con l’avventuriero Benito Mussolini, c'indusse ad allearci con il dittatore Nazista Hitler, per coronare il sogno di diventare Imperatore. Anch’egli per inusitate manie di potere fece uccidere migliaia e migliaia di'esseri umani, utilizzando armi come il gas nelle impari conquiste dell’Eritrea e della Somalia, dell’Albania.
L’accusa di Gramsci stava facendo scivolare il dibattimento verso l’ipotesi che la dinastia dei Savoia non era stato altro, che un male inaccettabile, che aveva causato tantissimi morti prima e dopo l’annessione, nel nome di quella Unità d’Italia, e proseguito con la Prima guerra Mondiale, quando intere classi di giovani (i famosi ragazzi del 1899) prevalentemente provenienti dal Sud Italia, perirono per conquistare la Venezia Giulia ed il Trentino al grido di Avanti Savoia.
A volere tutto ciò fu il Sovrano Vittorio Emanuele III, figlio di'Umberto I, nipote di Vittorio Emanuel II, il cosiddetto Re soldato, che con l’avventuriero Benito Mussolini, c'indusse ad allearci con il dittatore Nazista Hitler, per coronare il sogno di diventare Imperatore. Anch’egli per inusitate manie di potere fece uccidere migliaia e migliaia di'esseri umani, utilizzando armi come il gas nelle impari conquiste dell’Eritrea e della Somalia, dell’Albania.
 Quanto prima ci sarà un'altra puntata












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