Storia di Chiaiano - 10 Punt/ Giuoche dei maschietti


Capitolo quindicesimo




Chiaiano nel dopoguerra come si giocava in quegli anni quotidianamente

Continua  i giuochi praticati

O Zecco, ’O Sott’ ammure, Dint’‘o cerchie, erano giuochi, che utilizzavano come accessori per praticarli, appena dopo la guerra, delle monete antiche del primo novecento, quelle dell’ex Regno d’Italia (chiamate per comodità soldi (‘e sorde), i 10 cent di rame o 10 cent d'ottone (‘e due sorde)




              
moneta da 10 Cent.  tipo  "ape " di rame  dal Dritto, detto pure ( 2 soldi)
        
 



moneta da 10 Cent.  tipo "impero" dal Dritto di ottone (2 soldi)


Retro delle monete da 10 cent sia di rame che di ottone


  Poi appena furono coniate quelle della Repubblica, non più centesimi , ma le lire, come la cinque e la dieci, soppiantarono quelle del vecchio regime.
Generalmente le monete da 10 cent. 
erano usate come ('a Ndacca), monetina personale per svolgere il gioco. 


moneta da 20 Cent. tipo impereo in acmonital antimagnete ( 4 soldi)
  
La più importante monetina, utilizzata per questi giuochi, era la 20 Cent. (‘o quatte sorde). Era la più richiesta e perciò era considerata il miglior valore di scambio e possederne un buon quantitativo era considerato un’ottima dotazione, (era stata coniata con una lega di acciaio e cromo la prima volta nel 1938 in occasione della proclamazione dell’impero d’Italia e terminò con l’essere riprodotta nel 1942), come non si riprodussero più tutte le altre monete un vigore della deposta monarchia, finché proclamata la Repubblica cessarono di avere corso legale
.         
La nuova monetazione fu coniata, non più con l’effige di re Vittorio Emanuele III, perché, non avendo più valore legale, non valevano più nulla, furono soppiantate con le nuove, che, stampate nel dritto con un’effige di una donna di profilo, che rappresentava la Repubblica Italiana, recavano sul rovescio come unità di valore le lire e non più i centesimi.
Esistevano monete del regno d’Italia anch’esse coniate in acmonital (acciaio e cromo antimagnete) con il valore facciale di 50 Cent.(‘a meza lire).
Moneta da 50 Cent. tipo "impero"  in acmonital antimagnete ( 1/2 lira)
                                                                                                                                                               
recante nella faccia del dritto sempre dell’effige di Vittorio Emanuele III e sul rovescio una aquila imperiale di profilo poggiata su un tronco d’albero, mentre la “Uno lire” anch’essa in acmonital (acciaio e cromo antimagnete) aveva nel dritto l’effige di Vittorio Emanuele III e sul rovescio una aquila imperiale con tutte le due ali spiegate aperte.
     


moneta da 1 lira tipo impero acmonital antimagnete              
                                                         
Entrambe queste due monete non erano ritenute utili negli scambi e perciò non valevano niente, anche se rare e quindi non facilmente reperibili.
I 20 Cent.(‘e quatte sorde) erano le monete, coniate anch’esse in acmonital, che si scambiavano meglio delle altre, perché ce n’erano in abbondanza e si potevano ancora trovare presso le persone anziane, (che non erano riuscite a cambiarle con le nuove monete con il conio della repubblica italiana) e le avevano conservate e le scambiavano solo con chi avrebbe procurato loro i 50 Centesimi (‘e meze lire),
Tipo di scarabattolo con il sistema d'illuminazione per l'aureola

                             


 necessarie per far scattare negli scarabattoli presenti nelle varie chiese della nostra Contrada, il sistema di illuminazione, che funzionava solo con quel tipo di monete, che permetteva l’accensione delle lampade poste davanti alle statue di Gesù e della Madonna, come corolle di fiori o come aureole messe sui loro capi.
Entriamo nel vivo del gioco dell" Azzecco,.
L’Azzeccamuro, detto anche “Ristornino” (‘0 Zecco) consisteva nel lanciare una moneta (antica o nuova) contro il muro e farla rimbalzare fino ad avvicinarla alla moneta precedentemente lanciata dal primo giocatore. IL secondo giocatore quando lanciava la sua ('ndacca)  quanto più possibile doveva farla cadere sopra (l'azzecco) o entro la distanza di un palmo, od uno Ziracchio dalla stessa. La moneta da tiro era scelta ed utilizzata dal giocatore, sia per la manegiabilità, sia per leggerezza ed era sempre la stessa, era detta (‘a ‘ndacca) fino a quando non era giocata come ultima risorsa, era di rame, solitamente era quella da 10 centesimi (‘o duje sorde)
Altro elemento importante per praticare il gioco necessitava un muro o una parte di parete, ben determinata, che si utilizzava per far rimbalzare la moneta.
Si sceglieva generalmente un muro di marmo o di mattone; invece a terra, il campo era illimitato, poteva essere un marciapiede in parte regolare, che avesse davanti uno spazio libero di vari metri quadrati.
Per iniziare si tirava a sorte per stabilire il turno e quindi il primo lanciava una moneta contro il muro facendola rimbalzare a terra. Il giocatore successivo doveva ,a sua volta, lanciare un'altra moneta tentando di farla cadere sopra o entro un palmo di distanza da quella dell’avversario e quindi aggiudicarsela.
Potevano partecipare anche più giocatori, se non si verificava l’azzecco, ossia al primo tiro le monete non si sovrapponevano e neanche s’avvicinavano alle (‘ndacche) tirate precedentemente entro il palmo o lo ziracchio della propria mano.
Per non creare difformità di misure, per il possesso di mani grandi appartenenti a qualche giocatore partecipante, si stabiliva in precedenza un'unità di misura uguale per tutti (‘a Pagliuca), rappresentata da un rametto, un filo di spago o qualcosa di similare per effettuare la giusta distanza tra le monete lanciate.
Giocando in due, il giocatore lanciatore vinceva una moneta, quando faceva l’azzecco con la “’ndacca” su quella dell'avversario e doveva poi ricominciare il gioco nel tirare quindi per primo. Giocando in più persone, il giro era continuo e chi perdeva il turno, o perché non azzeccava, o perché non si avvicinava, doveva sperare che la sua moneta non fosse azzeccata e quindi vinta. Vinceva chi tirando riusciva con un tiro alla volta ad azzeccare tutte le precedenti monete e si fermava, fin quando non avesse azzeccato, mentre il gioco riprendeva con il tiro d’un altro partecipante.
Poteva capitare poi, che, giocando in più persone, con un sol colpo si ottenessero vincite multiple; ciò accadeva se nel raggio di un palmo di quella lanciata per ultima, si trovassero due o più monete degli avversari.
Oltre le diverse tecniche d’impugnatura della moneta, c'erano anche vari tipi di tiro contro il muro. Il fattore più importante era il modo con cui la moneta arrivava a battere nel muro: di taglio rimbalzava di più, di faccia cadeva quasi a piombo. Oltre al Palmo della mano, che era la misura ricorrente, che era quella, che stabiliva lo spazio misurato tra il pollice e l’anulare con sovrapposto, il mignolo, c’era anche l’indicatore di misura, detto dello ZIRACCHIO, distanza di circa cm. 15, pari all'intervallo di spazio tra il pollice e l'indice della mano distesa. Nella fantasiosa metaforicità del nostro parlare dialettale con lo ZIRACCHIO,, s’identificò anche, l'individuo di bassa statura, il nanerottolo, l'omiciattolo. Il termine, Zeraic; deriva dall’etimo “misura corrispondente a quasi un palmo.
O sott’ a mmure, Dint’‘o cerchie, gli altri due giuochi, come detto poc’anzi, anche necessitavano di monete, antiche o moderne, come supporto per praticarli, e consistevano nel lanciare da una distanza di almeno tre o cinque metri una moneta la “ ‘ndacca” quanto più sotto al muro od all’interno di un cerchio. Vinceva dopo il lancio delle monete dei diversi giocatori partecipanti, chi s’era avvicinato di più al muro od era entrato nel punto di mezzo del cerchio.

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Un altro giuoco, che non costava e che serviva a dimostrare la propria abilità e capacità, era il lancio delle pietre (‘ a Petriata) e da lontano rimanendo colpiti con ferite ad ammacchi diversi.
Era una vera guerriglia generalmente si praticava per redimere una controversia tra due fazioni, tra due borghi (nel nostro caso tra i ragazzi del borgo di Polvica 

(‘e Purganise) e quelli del borgo di Chiaiano
 (‘e Chiajanise) che si misuravano con grandi rischi da essere poi colpiti dai sassi scagliati con tanta di strategia e destrezza da parte delle due bande, che s’affrontavano. Il campo di battaglia era di solito lontano dai centri abitati e si sceglieva per l’occasione un pianoro detto “Giù al Pendino“ (abbascio ‘o pennine) o l’altro pure nascosto e non frequentato molto, perché era, allora una strada secondaria, Via Margherita nel tratto, che andava tra Via Croce di Polvica e la Piazza Margherita (miez’’o furne), che era situata tra due muraglie, che contenevano ed attraversano delle zone di campagna.
Quelli di Polvica, adattavano la tattica di arretrare fino all’imbocco di Via Croce, e fatti salire sui muraglioni della strada di Via Margherita, dove alcuni partecipanti della parte polvicana potevano facilmente accedere, costringevano a mettere gli avversari, “i Chiajanesi”, in mezzo a due fuochi, da sopra i muri e da terra.
Ci si fermava, quando ci si faceva male seriamente e quindi si ricorreva dal Medico Condotto per curare le ferite riportate senza svelare mai il motivo, come si erano procurate.
I ragazzi partecipanti alla “Petriata” erano bravissimi nel lancio delle pietre, alcuni di loro erano capaci di lanciare prima la pietra in alto e poi prendendo a volo riuscivano a colpire il bersaglio prefissato con precisione. Dopo il ferimento di molti contendenti delle due fazioni durante le gare battaglie e la denuncia alla locale stazione dell’Arma dei Carabinieri dai rispettivi genitori, per far cessare quegli scontri, questo tipo di gioco pericoloso non si praticò più, ma nel ricordo collettivo è rimasta la filastrocca che si cantava invertendo i termini dello “Sfottò”, rispettivamente dalle fazioni di appartenenza :a
‘E Purganise jettene ‘e pezze a ’e Chiajanise,
‘e Chiajanise, se l’arrepezzene buone buone,
‘e Chiajanise so’ pezzancule e mariuole.


Durante la stagione invernale era di moda il gioco del " Pacchero”.
'O Pacchero, gioco per il quale occorreva dotarsi delle figurine di calciatori dette “‘e giucatore” o più semplicemente i giocatori, o anche pure “‘e litrattielle”, e si svolgeva picchiando con una botta tremenda schiacciata con il palmo della mano accanto al pacchetto delle stesse.
 
                                    
    

 Le figurine, per effetto del soffio d’aria generato dal Pacchero, che si rivoltavano erano vinte, conquistate. Nel poggiare il pacchetto delle figurine si poteva, specie se già vecchie ed usate piegarle al centro per far meglio prendere l’aria a seguito della botta impressa sul banco, o sul muretto (in casi estremi sul pavimento o sulla strada) con il palmo della mano.
La percossa (‘o Pacchero) poteva essere a palmo aperto (schiano) o raccolto (accupputo) (ossia con il palmo della mano formato come una conca raccolta, che permetteva così un soffio più forte e quindi utile a far ribaltare il mucchietto di figurine puntate in egual quantità dai partecipanti al gioco.
IL “Pacchero” riusciva meglio, se il colpo (per far capovolgere e ribaltare il pacchetto di riferimento), fosse prodotto su una superficie liscia o su un marmo.


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Oltre al Pacchero si giocava, anche durante la stagione invernale, con le figurine dei calciatori

       


 (‘e giocatore) che fungevano da dotazione, al ‘o Mucchiette od ’O Sette e Mieze con l’ausilio delle mini carte da giuoco classiche napoletane. ‘O Mucchiette consisteva nel puntare un quantitativo di figurine di calciatori sui tanti pacchetti creati coperti con le 40 minicarte da gioco napoletane. Sceltone uno a caso, ci si puntava sopra le proprie figurine e si vinceva (una volta girati i pacchetti) se risultava (quello puntato) avere la carta che era superiore a quello, che teneva di spettanza al banco del gioco o si perdeva, se fosse uguale o inferiore.
C’era, infine, un commercio molto fiorente tra noi ragazzi per accaparrarci il maggior numero di figurine di calciatori e perciò ce le scambiavamo, quando avevamo dei doppioni o ce le giocavamo per conquistarne il più possibile .
Negli anni cinquanta esistevano un tipo di figurina piccola (4 x 5 cm) stampata su carta leggera, molto morbida e porosa. Queste erano vendute in gruppi di dieci, tenute insieme semplicemente da una fascetta di carta velina colorata nelle cartolerie. Dieci anni dopo furono sostituite dalle diventate famose figurine PANINI, di dimensioni più grandi (circa il doppio), che erano di carta più consistente e raffiguranti i giocatori ritratti con colori più brillanti. Si vendevano o si acquistavano, poi commerciandole tra i ragazzi (Trenta figurine costavano Cinque Lire di allora, quasi Dieci euro d’oggi) e c’erano delle regole da rispettare, riconosciute da tutti, come quella che le figurine dei portieri valevano ognuna per cinque ed erano individuate oltre dal nome del calciatore, soprattutto perché erano sempre raffigurate con parate plastiche da dietro la porta. Le figurine classiche dei portieri erano : Sentimenti IV (della juventus), Bugatti (della Spal), Merlo(del Milan), Corghi (del Novara), Casario (del Napoli)


. Continuerà con nuovi capitoli appena possibile
E’ gradito un commento di incoraggiamento a proseguire.

Commenti

  1. Eccolo l'incoraggiamento!
    Grazie per l'onore dell'invito.
    Non ho capito polvica dov'è forse ho letto male il lingo post?
    A pacchero negli anni 70 giocavo pure io. Che mani rosse alla fine!

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  2. Caro Prof. sempre con interesse ricevo e leggo questi frammenti di storia che appartengono sempre più alla nostra età fanciullesca. Certo che confrontare i nostri giochi con quelli delle successive alla nostra generazione, ci sarebbe quasi da sorridere per la tanta ingenuità. Invece credo che sarebbe necessario focalizzarsi sui veri valori di quei tempi quando per essere felici bastava giocare all'azzecca e muro. Riflettete giovani e fate di tutto per imitarci, scoprirete un modo semplice per essere felice senza chiedere e pretendere tanto. Grazie Sasà per questa opportunità che mi dai e che io utilizzo in maniera impropria con la speranza che qualche messaggio arrivi per vivere un mondo migliore. Forse sarà banale ma IO CI CREDO. Ti saluto augurandoti buone vacanze in famiglia e se Dio vuole ci si risente in Settembre. Tonino Russo

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