Le 366 Fosse o campusante dei Trivece

  Le 366  Fosse o campusante dei Trivece

Struttura muraria coperta del cimitero delle 366 fosse

Il cimitero è articolato in forma di quadrato perimetrato da una muratura che sul lato di ingresso ospita un edificio rettangolare destinato ai servizi. Il portale d'ingresso è sormontato da un timpano nel cui interno è raffigurato un simbolo mortuario. Ai lati dell'ingresso due grandi lapidi che narrano l'apertura del sepolcreto voluto dal re.

 Che cosa erano Le 366 Fosse ed
il cimitero dei Trivece?


Svelo subito la curiosità.


Il Cimitero di Santa Maria del Popolo (ma comunemente noto come Cimitero delle 366 Fosse, anticamente chiamato anche Cimitero dei Tredici) per la deformazione del   nome del comandante delle truppe Francesi di stanza nella zona, sulla collina di Poggioreale, durante la guerra franco – asburgica comandate dal Visconte Odetto de Foix Lautrec, che fu napolanizzato prima in Lautrecco, poi più semplicemente Lo Trecco ed infine divenne  per bocca del popolo definitivamente Trivece,  per essere poi italianizzato in Tredici)  è il più antico cimitero di Napoli, oggi dismesso.
Il  cimitero  Napoletano, vero e proprio, fu aperto il 1762 e lo volle Re Ferdinando IV, che lo commissionò all’architetto Ferdinando Fuga, (quello noto per il Real Albergo dei Poveri),  che realizzò   l’opera  con l’introduzione di criteri di razionalizzazione delle sepolture del tutto coerente con lo spirito della "epoca dei lumi".
 Fu il primo cimitero per i poveri, che sostituì la pratica di sotterrare i morti nelle cavità di ospedali, chiese e grotte, in particolare l'uso di gettare  le salme in  una grande cavità, sotto il  complesso ospedaliero  degli "Incurabili", ospedale tuttora operante, chiamata Piscina, (nota per il suo utilizzo e per l’eliminazione dei morti durante l'epidemia di peste del  1656).
Argano utilizzato per il seppelimento 
delle salme nel Cimitero delle 366 Fosse
Le modalità d'inumazione, nei primi momenti, furono  quelle di “gettare” il corpo del defunto a mano, nella sua rispettiva buca, mentre fu poi adottata un attrezzo per adagiare la salma nello spazio sottostante, in modo  che venisse adottata una prassi, che rispettasse il ritegno dovuto: Il macchinario in ferro, consisteva in un argano, che rese la sepoltura meno traumatica ed indimenticabile. Tale trabiccolo, l'argano,    venne donato nel 1875 da una baronessa inglese, che aveva perso la figlia colpita da un'epidemia di colera e per facilitare le operazioni di sepoltura, lo consegnò definitivamente in affidamento all’Arciconfraternita di Santa Maria del Popolo degli incurabili, che allora gestiva il complesso funerario. La donna, rimasta particolarmente scossa dalle rozze pratiche di tumulazione, adottate nel cimitero, fece costruire dalla migliore fonderia napoletana questo geniale meccanismo di deposizione, ancora oggi visibile nello spazio interno del santuario funerario,(come si vede nella foto) attraverso cui il defunto, adagiato in una bara in ferro, veniva calato verticalmente tramite una carrucola. Quando il feretro toccava l’estremità dello spazio, un meccanismo apriva uno sportellino e il corpo della salma si adagiava così sul piano della fossa per essere degnamente custodito nei meandri dell’eternità.
Il cimitero delle 366  fu concepito dall'architetto del regno, Ferdinando Fuga, realizzando il grande complesso cimiteriale, in linea alle teorie razionali delle costruzioni illuministiche. Fece delineare un vasto recinto perfettamente quadrangolare, cinto da alte mura. All’interno lo spiazzo a cielo aperto venne così adibito alla corte della morte: 366 fosse comuni. Tutte coperte da una lastra segnata con un  numero arabo inciso a mano, sono disposte tramite un coerente reticolo geometrico, che si imposta sul piano lastricato e ripartito da 360 fosse allineate in numero di diciannove per diciannove file. Le rimanenti sei fosse, invece, erano posizionate nello spazio rettangolare antistante il cortile, sotto l’atrio coperto.


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